LA VITA DAVANTI A SÉ
La Vita Davanti a Sé
dal romanzo La Vie Devant Soi (1975)
di Romain Gary (Emile Ajar)
edizione italiana Neri Pozza 2005
di Romain Gary (Emile Ajar)
edizione italiana Neri Pozza 2005
Regia e riduzione Silvio Orlando
Direzione musicale Simone Campa
Musiche di scena Simone Campa
Scene Roberto Crea
Disegno luci Valerio Peroni
Produzione 2017 Fondazione Circolo dei Lettori di Torino
Produzione 2020 Cardellino srl
con
Silvio Orlando
Ensemble Orchestra Terra Madre
musicisti coinvolti dal 2017 al 2023
Simone Campa chitarra battente, tamburi etnici, glockenspiel,
rullante, kalimba, klangschalen, effetti sonori
Roby Avena fisarmonica
Gianpiero Nitti fisarmonica
Niccolò Bosio fisarmonica
Maurizio Pala fisarmonica
Roberto Napoletano fisarmonica
Cheikh Fall voce, kora, djembe
Kaw Sissoko voce, kora, djembe
Simone Arlorio clarinetto, sax contralto
Leonardo Enrici Baion clarinetto, sax contralto
Gianni Denitto clarinetto, sax contralto
Diego Mascherpa clarinetto, sax contralto
Marco Tardito clarinetto, sax contralto
Direzione musicale Simone Campa
Musiche di scena Simone Campa
Scene Roberto Crea
Disegno luci Valerio Peroni
Produzione 2017 Fondazione Circolo dei Lettori di Torino
Produzione 2020 Cardellino srl
Silvio Orlando
Ensemble Orchestra Terra Madre
rullante, kalimba, klangschalen, effetti sonori
Gianpiero Nitti fisarmonica
Niccolò Bosio fisarmonica
Maurizio Pala fisarmonica
Roberto Napoletano fisarmonica
Kaw Sissoko voce, kora, djembe
Leonardo Enrici Baion clarinetto, sax contralto
Gianni Denitto clarinetto, sax contralto
Diego Mascherpa clarinetto, sax contralto
Marco Tardito clarinetto, sax contralto
Venti anni prima di Pennac e degli scrittori dell’immigrazione araba, ecco la storia di Momo, ragazzino arabo nella banlieu di Belleville, figlio di nessuno, accudito da una vecchia prostituta ebrea, Madame Rosa.
Stenio Solinas
Venti anni prima di Pennac e degli scrittori dell’immigrazione araba, ecco la storia di Momo, ragazzino arabo nella banlieu di Belleville, figlio di nessuno, accudito da una vecchia prostituta ebrea, Madame Rosa.
Stenio Solinas
Momò, dieci anni e molta vita davanti, vive a pensione da Madame Rosa, ex prostituta ebrea «con più chiappe e seni di chiunque altro» che ora sbarca il lunario prendendosi cura degli “incidenti sul lavoro” delle colleghe più giovani. Intorno a lui la variopinta, vitalissima e a volte disperata sarabanda del quartiere di Belleville, tra spazzini mangiafuoco e transessuali campioni di boxe, ruffiani cardiopatici e traslocatori di anziani moribondi, esorcismi tribali, vite che vanno alla rovescia e un’improbabile storia d’amore toccata dalla grazia.
Per realizzare teatralmente la versione di un libro il cui autore vinse il premio Goncourt sotto falsa identità (perché ne aveva già vinto uno in precedenza), la bravura di Orlando ha potuto saldarsi a quella del gruppo di musicisti che, appartenenti all’𝐎𝐫𝐜𝐡𝐞𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐓𝐞𝐫𝐫𝐚 𝐌𝐚𝐝𝐫𝐞, si sono raccolti per l’occasione come Ensemble diretto da 𝐒𝐢𝐦𝐨𝐧𝐞 𝐂𝐚𝐦𝐩𝐚 e hanno portato all’orecchio degli spettatori arie parigine 𝑎̀ 𝑙𝑎 𝑚𝑢𝑠𝑒𝑡𝑡𝑒, arrangiamenti pop degli anni Sessanta, ma anche musiche etniche, arabe, ebree, klezmer, fino a suoni e parole del griot senegalese Kaw Sissoko.
Pietro Caruso, Romagna in Scena
18 aprile 2022
Silvio Orlando
Attore tra i più apprezzati da pubblico e critica, ha lavorato con registi come Pupi Avati, Nanni Moretti, Carlo Virzì, Carlo Mazzacurati, Gabriele Salvatores e ricevuto numerosi premi, tra cui due David di Donatello e due Nastri d’Argento. Recentemente ha interpretato il cardinale Voiello, machiavellico antagonista di Jude Law nella serie tv The Young Pope diretta da Paolo Sorrentino.
Silvio Orlando ha ricavato uno spettacolo ch’è un piccolo, raffinato gioiello, poiché fissa la tenerezza poetica nel castone di una risentita, ma mai paludata (e anzi, a tratti persino ironica), riflessione sulle diseguaglianze indotte dal capitalismo fra le razze e gl’individui. E assolutamente in linea con la regia, risultano la scena di Roberto Crea (un’alta torre tutta scale e sporgenze e rientranze disordinate e instabili, a significare la precarietà della vita in quel palazzone di Belleville) e la colonna sonora a cura di Simone Campa (un mélange di musica kletzmer, celebri canzoni francesi e ritmi africani, a significare il coro delle mille «voci» di quell’alveare).
Enrico Fiore, Controscena.net
10 dicembre 2021
Silvio Orlando ha ricavato uno spettacolo ch’è un piccolo, raffinato gioiello, poiché fissa la tenerezza poetica nel castone di una risentita, ma mai paludata (e anzi, a tratti persino ironica), riflessione sulle diseguaglianze indotte dal capitalismo fra le razze e gl’individui. E assolutamente in linea con la regia, risultano la scena di Roberto Crea (un’alta torre tutta scale e sporgenze e rientranze disordinate e instabili, a significare la precarietà della vita in quel palazzone di Belleville) e la colonna sonora a cura di Simone Campa (un mélange di musica kletzmer, celebri canzoni francesi e ritmi africani, a significare il coro delle mille «voci» di quell’alveare).
Enrico Fiore, Controscena.net
10 dicembre 2021
“Il genio di Gary ha anticipato senza facili ideologie e sbrigative soluzioni il tema dei temi contemporaneo, vale a dire la convivenza tra culture religioni e stili di vita diversi”. Il teatro può raccontare storie emozionanti commoventi divertenti, chiamare per nome individui che ci appaiono massa indistinta e angosciante. Le ultime parole di Gary dovrebbero essere una bussola: “bisogna voler bene”. A evocare l’atmosfera multietnica della vicenda, i ritmi ancestrali della colonna sonora di Simone Campa sottolineano emozioni e malinconiche suggestioni con l’Ensemble dell’Orchestra Terra Madre (aperta a collaborazioni con musicisti di ogni tradizione per promuovere tutte le radici cultural) fino all’happening finale in cui si aggiunge l’attore a suonare il flauto: Simone Campa alla chitarra battente e percussioni, Gianni Denitto al clarinetto e sax, Maurizio Pala alla fisarmonica e Kaw Sissoko a kora e djembe.
Luigi De Rosa, Positano News
14 marzo 2022
Perché la Parigi multietnica degli anni ’70 di Romain Gary è più attuale che mai
Quando uscì, per la prima volta in Francia, “La vie devant soi” era il 1975 e, nel giro di poche settimane, divenne un caso editoriale fino a vincere il Prix Goncourt, il più importante premio letterario francese. Del suo autore, un tale Émile Ajar, si sapeva poco o nulla e soltanto in seguito si scoprì che, in realtà, dietro quel nome si celava Romain Gary, un autore snobbato e disprezzato dai critici che lo consideravano al capolinea. Gary era a sua volta lo pseudonimo di Romain Kacev (1914-1980), un ex eroe di guerra, emigrato russo in Francia all’età di 13 anni e autore di diversi romanzi, primo fra tutti “Educazione europea”, il miglior testo sulla resistenza secondo Jean-Paul Sartre. Un gioco di nomi, una presa in giro che portò ad una grande confusione risoltasi solo alla sua morte, avvenuta per sua volontà (con un colpo di pistola in testa) nel 1980 nella casa parigina in Rue du Bac, dopo che la sua ex compagna – Jean Seberg, l’attrice protagonista della Nouvelle Vague – si era tolta la vita pochi mesi prima. Gary/Kacev aveva nel frattempo già vinto un Goncourt con “Le radici del cielo” e se riuscì a vincerlo una seconda volta, fu solo grazie a quell’escamotage.
Giuseppe Fantasia, HuffPost Italia
20 dicembre 2018
Se poi aggiungiamo i suoni e le musiche di Simone Campa e del suo travolgente Belleville Quartet, la suggestione è completa, con definitivo gradimento del pubblico che ieri sera gremiva il Carignano.
Osvaldo Guerrieri, La Stampa
22 settembre 2017
Se poi aggiungiamo i suoni e le musiche di Simone Campa e del suo travolgente Belleville Quartet, la suggestione è completa, con definitivo gradimento del pubblico che ieri sera gremiva il Carignano.
Osvaldo Guerrieri, La Stampa
22 settembre 2017
La colonna sonora di Simone Campa
Partendo dall’ambientazione di una Parigi romantica e retrò del romanzo, e unendola all’atmosfera multietnica del quartiere di Belleville, Simone Campa crea una colonna sonora ricca e suggestiva che richiama perfettamente sensazioni, sentimenti e situazioni che Momò, il giovane protagonista, vive e racconta. Insieme alle sue formazioni multietniche Belleville Ensemble (2017) con musicisti da Senegal, Marocco, Francia e Italia e l’Orchestra Terra Madre (2020), progetto msuciale di dialogo interculturale fondato nel 2014 con Carlo Petrini di Slow Food, lo spettatore viene di volta in volta accompagnato in scene musicali di terre lontane e riti voodoo, con percussioni e voci africane; passeggiate sotto la Tour Eiffel accompagnate dalla fisarmonica, con valse e chansonnes francesi; echi di medioriente con musiche e ritmi arabi. Irrefrenabili ed entusiasmanti i momenti di malinconica gioiosità della musica yiddish e klezmer, tipica degli ebrei dell’Europa orientale. Molto suggestivi inoltre i commenti sonori e le didascalie rumoristiche, tra cui musiche di circo e di carillon sospesi nel tempo, effetti sonori per la sala di doppiaggio di un vecchio cinematografo.
Un grande artista della levatura di Silvio Orlando non si esprime solo attraverso la recitazione ma anche nelle scelte di regia e di costruzione dello spettacolo. Ed è per questo che ha deciso di affidare a Simone Campa la direzione musicale dell’opera e di circondarsi di quattro musicisti straordinari e generosi sia nell’esecuzione che nell’interpretazione, così bravi che la musica, nelle loro mani, diventa trama, ricamo, filo che imbastisce e cuce il tessuto narrativo. Intermezzi che partecipano del racconto, in un ritmo osmotico con le parole, parentesi mai invasive, rispettose del testo, sebbene di musica straripante si tratta, di sonorità etniche, circensi, echi di un’armonia rom, zingara, randagia come i giorni del piccolo Momò. Non accompagnamento, non sfondo, non “horror vacui” che va riempito e nemmeno arzigogolo o belletto o infiorettatura o pleonasmo, ma sostegno di architrave, fondamenta dell’edificio narrativo. Tribalità di tamburo, nostalgia di arpeggio di chitarra, melanconia sacra di fisarmonica, suono acuto – quasi grido che làncina – di sassofono e rabbia argentina e limpida come acqua sorgiva della Kora mandinga che s’impone con la sua armonia d’arpa. E Silvio Orlando lo sa, lo sa benissimo perché conclude lo spettacolo suonando insieme ai suoi musicisti, in un momento gioioso, trascinante, con una musica che è un climax inarrestabile circuitante e derviscio. La musica altra, che entra nello spettacolo, attraverso le note sputate da un mangiadischi arancione, è quella di Francoise Hardy che canta il suo famoso “Comment te dire adieu”.
Appunto: come si fa a dire addio a tanta bellezza.
Marilina Giaquinta, La Sicilia
23 febbraio 2023
Romain Gary
Il pomeriggio del 3 dicembre del 1980, Romain Gary si recò da Charvet, in place Vendôme a Parigi, e acquistò una vestaglia di seta rossa. Aveva deciso di ammazzarsi con un colpo di pistola alla testa e, per delicatezza verso il prossimo, aveva pensato di indossare una vestaglia di quel colore perché il sangue non si notasse troppo.
Nella sua casa di rue du Bac sistemò tutto con cura, gli oggetti personali, la pistola, la vestaglia. Poi prese un biglietto e vi scrisse: «Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove». L’anno prima Jean Seberg, la sua ex moglie, l’attrice americana, l’adolescente triste di Bonjour tristesse, era stata trovata nuda, sbronza e morta dentro una macchina. Aveva 40 anni. Si erano sposati nel 1962, 24 anni lei, il doppio lui.
Il colpo di pistola con cui Romain Gary si uccise la notte del 3 dicembre 1980 fece scalpore nella società letteraria parigina, ma non giunse completamente inaspettato. Eroe di guerra, diplomatico, viaggiatore, cineasta, tombeur de femmes, vincitore di un Goncourt, Gary era considerato un sopravvissuto, un romanziere a fine corsa, senza più nulla da dire.
Pochi mesi dopo la sua morte, il colpo di scena. Con la pubblicazione postuma di Vie et mort d’Emile Ajar, si seppe che Emile Ajar, il romanziere più promettente degli anni Settanta, il vincitore, cinque anni prima, del Goncourt con La vita davanti a sé, l’inventore di un gergo da banlieu e da emigrazione, il cantore di quella Francia multietnica che cominciava a cambiare il volto di Parigi, altri non era che Romain Gary.
A trent’anni di distanza dalla sua prima edizione, la Biblioteca Neri Pozza pubblica questo capolavoro della letteratura francese contemporanea.
È la storia di un amore materno in un condominio della periferia francese dove non contano i legami di sangue e le tragedie della storia svaniscono davanti alla vita, al semplice desiderio e alla gioia di vivere. Un romanzo toccato dalla grazia, in cui l’esistenza è vista e raccontata con l’innocenza di un bambino, per il quale le puttane sono «gente che si difende con il proprio culo», e «gli incubi sogni quando invecchiano».
C’è un solo attore in scena, Silvio Orlando che sa affascinare il pubblico passando dal solipsismo all’irruenza. Dialoga con un ombrello trasformato in feticcio. Si fa poi risucchiare nel vortice dell’accompagnamento sonoro di Simone Campa con l’Ensemble dell’Orchestra Terra Madre (Campa a chitarra battente e percussioni, Gianni Denitto a clarinetto e sax, Maurizio Pala fisarmonica, Cheikh Fall e Kaw Sissoko kora e djembe), gruppo polistrumentale che celebra l’incontro multietnico attraverso i suoni: musiche mediterranee, ritmi nordafricani, tamburi senegalesi, atmosfere yiddish. Sorridiamo. Ci commoviamo catapultati, grazie all’orchestra, in una casba algerina o nella banlieue parigina. Fra desideri e inibizioni irrompe la poesia, quella del testo, degli sguardi, della musica.
RASSEGNA STAMPA
RASSEGNA STAMPA
RASSEGNA STAMPA
La Stampa
22 settembre 2017
una recensione di
Osvaldo Guerrieri
Osvaldo Guerrieri
Se poi aggiungiamo i suoni e le musiche di Simone Campa e del suo travolgente Belleville Quartet, la suggestione è completa, con definitivo gradimento del pubblico che ieri sera gremiva il Carignano
Se poi aggiungiamo i suoni e le musiche di Simone Campa e del suo travolgente Belleville Quartet, la suggestione è completa, con definitivo gradimento del pubblico che ieri sera gremiva il Carignano
Il bello di Silvio Orlando è che resta Silvio Orlando qualunque cosa faccia. A volte è un vantaggio. Prendiamo la sua partecipazione a Torino Spiritualità con il romanzo “La vita davanti a sé” di Romain Gary. Dovremmo essere a Parigi nel dopoguerra, dovremmo trovarci nel quartiere di Belleville, e cioè in una periferia piena di razze, colori, lingue, religioni, ma con Orlando, con il suo modo di essere e di recitare, questa Parigi arcobaleno diventa Mediterraneo, suk, Napoli.
Certo il romanzo è straordinariamente bello. E questo aiuta. Gary è uno scrittore di alta levatura. Non a caso l’editore Neri Pozza ne sta pubblicando l’intera produzione o quasi. Quando scrisse “La vita davanti a sé” in Francia era dato per finito. Ma lui sorprese tutti vincendo per la seconda volta il Goncourt. Fu un caso unico nella storia. Per statuto non si può vincere quel premio due volte. Ma, all’insaputa di tutti, persino del proprio editore, Gary vi partecipò con lo pseudonimo di Emile Ajar. La verità fu scoperta dopo la morte per suicidio avvenuta ne 1980: un colpo di pistola al cuore sulla vestaglia rossa affinché non si vedesse il sangue. Protagonista di “La vita davanti a sé” è Momo, un bambino di dieci anni allevato e cresciuto da Madame Rosa, una ex prostituta ebrea di novanta chili e con pochissimi capelli in testa che, in cambio di un mensile che non sempre arriva, fa da mamma a una decina di bambini figli anch’essi di prostitute. Per la legge francese alle prostitute era vietato crescere figli, ecco il motivo di quel singolare, vociante, litigioso, piscioso ospizio infantile, una famiglia in cui si mescolano cristiani, ebrei, musulmani. Madame Rosa è malatissima.
Conserva sotto il letto una fotografia di Hitler e nei momenti in cui è particolarmente giù di corda le basta darle un’occhiata per ricordarsi a che cosa è scampata e per sentirsi allegra. Accanto a lei Momo scopre il mondo che gli sta intorno e che sembra privo di padri, poiché, per definizione, i figli delle prostitute non hanno un padre. In questo universo femminile fanno eccezione il signor Hamil, un vecchio venditore di tappeti musulmano che insegna a Momo tutto quello che sa, e quello strano ibrido di Madame Lola, un senegalese che adesso è un trans e prima era stato un campione di boxe. E’ in questo circo di razze e di lingue che Momo scopre l’amore: l’unico sentimento che giustifica il vivere. Il racconto è lieve, poetico, realistico e ha punte di soave umorismo; ritrae i personaggi con mano altrettanto lieve e felice e Silvio Orlando sembra nuotarvi come dentro un mare felice. Tecnicamente il suo è un reading: e cioè leggio, fogli, lettura e via andare. In realtà non è così. Fin dalle prime battute, malgrado il leggio, le sedie, i fogli, le bottigliette d’acqua sparse sul pavimento, Orlando fa capire che quel personaggio e quelle parole gli si sono impigliati dentro, si sono fusi con lui, e perciò li vive, gli dà corpo e anima, vi distilla umorismo e dolcezza. E non c’è niente di male se sullo sfondo e nelle sfumature ti fa balenare Napoli. Del resto lo sanno tutti che Napoli è il mondo e il mondo è Napoli.
L'OPERA
LA VITA DAVANTI A SÉ
Neri Pozza Editore
Un romanzo toccato dalla grazia.
Stenio Solinas
Un romanzo toccato dalla grazia.
Stenio Solinas
Il pomeriggio del 3 dicembre del 1980, Romain Gary si recò da Charvet, in place Vendôme a Parigi, e acquistò una vestaglia di seta rossa. Aveva deciso di ammazzarsi con un colpo di pistola alla testa e, per delicatezza verso il prossimo, aveva pensato di indossare una vestaglia di quel colore perché il sangue non si notasse troppo.
Gary scrive in una lingua chiara, aerea, energica, come in certe pagine di Hemingway…
Jérôme Garcin, Dictionnaire de la littérature française du 20ème siècle
Gary scrive in una lingua chiara, aerea, energica, come in certe pagine di Hemingway…
Jérôme Garcin, Dictionnaire de la littérature française du 20ème siècle
Nella sua casa di rue du Bac sistemò tutto con cura, gli oggetti personali, la pistola, la vestaglia. Poi prese un biglietto e vi scrisse: «Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove». L’anno prima Jean Seberg, la sua ex moglie, l’attrice americana, l’adolescente triste di Bonjour tristesse, era stata trovata nuda, sbronza e morta dentro una macchina. Aveva 40 anni. Si erano sposati nel 1962, 24 anni lei, il doppio lui.
Il colpo di pistola con cui Romain Gary si uccise la notte del 3 dicembre 1980 fece scalpore nella società letteraria parigina, ma non giunse completamente inaspettato. Eroe di guerra, diplomatico, viaggiatore, cineasta, tombeur de femmes , vincitore di un Goncourt, Gary era considerato un sopravvissuto, un romanziere a fine corsa, senza più nulla da dire. Pochi mesi dopo la sua morte, il colpo di scena. Con la pubblicazione postuma di Vie et mort d’Emile Ajar, si seppe che Emile Ajar, il romanziere più promettente degli anni Settanta, il vincitore, cinque anni prima, del Goncourt con La vita davanti a sé, l’inventore di un gergo da banlieu e da emigrazione, il cantore di quella Francia multietnica che cominciava a cambiare il volto di Parigi, altri non era che Romain Gary.
I romanzi irresistibili sono rari.
La vita davanti a sé, il capolavoro di Romain Gary,
fa parte di quei libri che sconvolgono l’equilibrio affettivo del lettore.
Yann Queffélec
I romanzi irresistibili sono rari.
La vita davanti a sé, il capolavoro di Romain Gary,
fa parte di quei libri che sconvolgono l’equilibrio affettivo del lettore.
Yann Queffélec
A trent’anni di distanza dalla sua prima edizione, la Biblioteca Neri Pozza pubblica questo capolavoro della letteratura francese contemporanea.
È la storia di un amore materno in un condominio della periferia francese dove non contano i legami di sangue e le tragedie della storia svaniscono davanti alla vita, al semplice desiderio e alla gioia di vivere. Un romanzo toccato dalla grazia, in cui l’esistenza è vista e raccontata con l’innocenza di un bambino, per il quale le puttane sono «gente che si difende con il proprio culo», e «gli incubi sogni quando invecchiano».
Gary ha incarnato il mito stesso della seduzione.
Livres Hebdo
Gary ha incarnato il mito stesso della seduzione.
Livres Hebdo
RASSEGNA STAMPA
La Sicilia
un articolo di
Marilina Giaquinta
lunedi 20 febbraio 2023
Un grande artista della levatura di Silvio Orlando non si esprime solo attraverso la recitazione ma anche nelle scelte di regia e di costruzione dello spettacolo. Ed è per questo che ha deciso di affidare a Simone Campa la direzione musicale dell’opera e di circondarsi di quattro musicisti straordinari e generosi sia nell’esecuzione che nell’interpretazione, così bravi che la musica, nelle loro mani, diventa trama, ricamo, filo che imbastisce e cuce il tessuto narrativo.
Un grande artista della levatura di Silvio Orlando non si esprime solo attraverso la recitazione ma anche nelle scelte di regia e di costruzione dello spettacolo. Ed è per questo che ha deciso di affidare a Simone Campa la direzione musicale dell’opera e di circondarsi di quattro musicisti straordinari e generosi sia nell’esecuzione che nell’interpretazione, così bravi che la musica, nelle loro mani, diventa trama, ricamo, filo che imbastisce e cuce il tessuto narrativo.
Compare sulla scena, dopo un invito rivolto al pubblico, dietro le quinte, a vincere, per il tempo del teatro, la dipendenza dallo smartphone. Un invito dapprima di maniera, poi irriverente e fermo, che mostra malcelato fastidio per essere costretto a farlo.
Compare sulla scena, al suo centro, Silvio Orlando, vestito alla maniera di Aladino e poi capisci perché: sta per raccontare una fiaba. Una bellissima, commovente, struggente fiaba che mette in disarmo ogni difesa emotiva e ti lascia in balia del ritmo cullante del suo racconto.
Una fiaba tratta dall’omonimo romanzo, premiato col Goncourt, di Romain Gary.
La scenografia è essenziale. Tuttavia, man mano che Momò, questo stranito bambino arabo che guarda il mondo con gli occhi sgranati della meraviglia, srotola le vicende della sua vita, capisci che è anche necessaria, che non può che essere quella la scena, che esprime la stessa dolcezza disperata e lo stesso smarrimento lacerato e indifeso, lo stesso bilico sulle cose che Momò esprime nei confronti della vita. Cubi verticali sbilenchi, funambolici – che ricordano la spettralità de “I Sette Palazzi Celesti” di Anselm Kiefer – che si tengono insieme quasi per miracolo, il miracolo della vita, della forza del nubifragio della vita, e una bergère rosso fiamma ( con un plaid che la trasforma quando i ricordi si fanno cupi e la ferocia della memoria sovrasta ogni intento ) perché la vita è passione, è fuoco che arde anche nelle vene degli “invisibili”, dei “periferici”, per dirla con l’Ortese, perché è dalla periferia che nasce la poesia, dalla mancanza, dai dimenticati, dai perduti, dai diseredati. Dai sopravvissuti al destino. Ed è poetico il racconto dolce, innocente, pieno del bisogno di dare e ricevere cura, il racconto mai arreso che Momò fa della vita (non solo la sua), attraverso la magistrale interpretazione di Silvio Orlando che riesce, con una naturalezza che non sa di scena, non sa di fictio, non sa di professione, di altro estraneo e testimone, a rendere vivi e parlanti con lui e dentro di lui, tutti i personaggi di questa fiaba anarchica, dove ognuno vive la vita come sa e come può. E allora Silvio Orlando è Momò, bambino arabo e per ciò diverso, che trova la bellezza in ogni cosa, che si stupisce sempre della generosità degli altri, quando gli capita, come se a lui non fosse permessa, come se non la meritasse. E allora Silvio Orlando è Madame Rosà, la prostituta ebrea, sopravvissuta all’Olocausto, che tuttavia tiene ancora conficcato nelle viscere del corpo e della mente, e che ha allestito, quasi con una simmetria perversa, un contrappasso, una maledizione materica, nelle viscere di quell’imminente crollo che è il posto in cui vive, un rifugio, una tana, dove si illude di scampare all’inferno dei ricordi. Saranno, forse, proprio quei ricordi a precipitarla, inesorabilmente, in un altro inferno: quello della demenza e del vuoto della ragione. E sulla scena, Silvio Orlando, con la “pietas” lieve della sua interpretazione, fa rivivere e parlare (rendendola indimenticabile) un’umanità dolente e solidale che si stringe intorno a Momò, nel bene e nel male.
Silvio Orlando racconta, mima con una gestualità pierrottesca e con un corpo che sembra chiedere sempre scusa allo spazio, si siede, si alza, accenna passi di ballo, sprofonda sulla poltrona con la stanchezza dell’abisso di Madame Rosà, ruba un uovo e ti fa sentire una fame nera, presta la voce docile e birbante, empatica e proteiforme ai suoi personaggi, con una parola attenta, composta, di indulgente ironia che coinvolge e ipnotizza il pubblico – sì da tenerne sul filo l’attenzione – lo prende e lo porta per mano dentro quelle vite, quel tempo, quei luoghi, nel piccolo grande mondo di Momò. E sulla scena non c’è solo Silvio Orlando, ci sono tutti, tutti quelli di cui narra, e ti ritrovi a sentirti parte di quelle vite, e ti commuovi, e ti dilaga dentro la tenerezza, e ti si annoda la gola e, quando dalle mani erompe l’applauso, senti che è liberatorio, che tira fuori, con una carica esplosiva deflagrante, tutte le emozioni che quelle vite ti hanno suscitato.
Un grande artista della levatura di Silvio Orlando non si esprime solo attraverso la recitazione ma anche nelle scelte di regia e di costruzione dello spettacolo. Ed è per questo che ha deciso di affidare a Simone Campa la direzione musicale dell’opera e di circondarsi di quattro musicisti straordinari e generosi sia nell’esecuzione che nell’interpretazione, così bravi che la musica, nelle loro mani, diventa trama, ricamo, filo che imbastisce e cuce il tessuto narrativo. Intermezzi che partecipano del racconto, in un ritmo osmotico con le parole, parentesi mai invasive, rispettose del testo, sebbene di musica straripante si tratta, di sonorità etniche, circensi, echi di un’armonia rom, zingara, randagia come i giorni del piccolo Momò. Non accompagnamento, non sfondo, non “horror vacui” che va riempito e nemmeno arzigogolo o belletto o infiorettatura o pleonasmo, ma sostegno di architrave, fondamenta dell’edificio narrativo. Tribalità di tamburo, nostalgia di arpeggio di chitarra, melanconia sacra di fisarmonica, suono acuto – quasi grido che làncina – di sassofono e rabbia argentina e limpida come acqua sorgiva della Kora mandinga che s’impone con la sua armonia d’arpa.
E Silvio Orlando lo sa, lo sa benissimo perché conclude lo spettacolo suonando insieme ai suoi musicisti, in un momento gioioso, trascinante, con una musica che è un climax inarrestabile circuitante e derviscio.
La musica altra, che entra nello spettacolo, attraverso le note sputate da un mangiadischi arancione, è quella di Francoise Ardy che canta il suo famoso “Comment te dire adieu”.
Appunto: come si fa a dire addio a tanta bellezza.
TESTIMONIAL
Nel 2017, avendo già avuto modo di apprezzarne la bravura, ho proposto a Simone Campa di curare la direzione musicale del reading “La vita davanti a sé“, realizzato per il festival di cui mi occupo, Torino Spiritualità, con Silvio Orlando come protagonista. Simone ha studiato le pagine del romanzo di Romain Gary e ne ha amplificato le atmosfere, restituendo in incanto sonoro la vitalità multietnica di Belleville. Non sorprende che da quel reading sia nato un vero e proprio spettacolo: trecento repliche che hanno portato Simone e i suoi musicisti a girare i principali teatri d’Italia al fianco di Silvio Orlando.
Quest’anno, memore della passata collaborazione, gli ho nuovamente chiesto di occuparsi della direzione musicale di un evento cardine di Torino Spiritualità 2023, il reading “Le intermittenze della morte“, dal romanzo di José Saramago, con la voce di Francesco Pannofino. Ne è venuto fuori un progetto sonoro calibrato e coinvolgente, che ancora una volta ha colto le linee di forza del testo e le ha servite con competenza, creatività e grande professionalità.
Armando Buonaiuto
curatore del festival Torino Spiritualità
Fondazione Circolo dei Lettori di Torino
TESTIMONIAL
Da inizio febbraio a fine di aprile 2023 ho partecipato alla tourneee italiana invernale/primaverile dello spettacolo teatrale “La vita davanti a sé” tratto dall’omonimo romanzo di Romain Gary interpretato dall’attore Silvio Orlando. Sono state ben oltre cinquanta repliche in altrettanti teatri alcuni dei quali tra i più importanti d’italia, dove in qualità di clarinettista e saxofonista sono stato impegnato nella veste di esecutore e improvvisatore nella riproduzione delle musiche scritte e scelte dal direttore e musicista in scena Simone Campa. Tengo a sottolineare che, come professionista e artista direttamente coinvolto in scena durante tutte le date di “La vita davanti a sé” nei tre mesi suddetti, Simone Campa ha fornito una varietà di riferimenti musicali e culturali assolutamente appropriati a sottolineare i diversi momenti nello svolgimento della performance e a focalizzare il tema dell’incontro e della convivenza tra persone di provenienze e tradizioni diverse che caratterizza il romanzo.
Insieme a Marco Tardito al quale sono subentrato da febbraio per la seconda parte della tournee che era iniziata a settembre 2023, più volte abbiamo lavorato con la supervisione attenta e professionale di Simone Campa che oltre ad essere l’ideatore di tutte le musiche dello spettacolo in questione, nel suo ruolo di direttore musicale ha curato con assidua presenza e mirabile costanza l’intera preparazione di noi musicisti, (inclusi quelli che talvolta sono entrati per sostituzioni momentanee o stabili) al fine di mettere sempre tutti nelle migliori condizioni per le rappresentazioni sulla scena. Tutto ciò che riguarda la parte musicale dello spettacolo “la vita davanti a sé” non sarebbe stato possibile in mancanza di Simone che l’ha creata e seguita con meticolosità a mio avviso ineccepibile e degna del massimo rispetto. Il proseguimento della tournee di tale spettacolo è in ogni modo reso possibile e quindi dovuto al lavoro di Simone che ha tessuto la trama musicale che non solo commenta ma in più punti “regge” parti fondamentali della scena nelle attuali rappresentazioni di “La vita davanti a sé”.
Grazie Simone.
Diego Mascherpa
musicista
Torino
TESTIMONIAL
Ho visto lo spettacolo “La vita davanti a sé” un anno e mezzo fa, al teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere in provincia di Caserta, tra l’altro un piccolo gioiello tra i teatri campani. Una bellissima e sensibile prova di attore di Silvio Orlando, non la prima ovviamente, che io stimo da sempre. Io sono napoletano e credo che lui sia uno dei pochi attori partenopei che nel panorama italiano si sia distinto dalla massa in modo molto positivo, facendo una pregevolissima carriera. In uno spettacolo che si rispetti ovviamente è imprescindibile la presenza della musica e l’apporto di Simone Campa, sia compositivo e performativo, che quello dei suoi colleghi musicisti è stato prezioso, curatissimo nei minimi particolari. Una colonna sonora insieme alla pièce teatrale che mi è rimasta in mente per molto, raffinata e ben calibrata sulla narrazione, congeniale per i tempi e contestualizzata alla perfezione, in grado di sostenere il protagonista nelle varie fasi dello sviluppo narrativo. Professionisti esperti, bravissimi, impeccabili, mai invadenti sulla scena e anche all’occorrenza versatili spalle come il collega percussionista africano che ricordo bene, tra l’altro molto in gamba, come tutti voi! Insomma tutto amalgamato a puntino, come dovrebbe essere sempre per i grandi allestimenti. Felicissimo di essere venuto e di lasciare questo mio ricordo 😊🎶🎵 Un caro saluto ed un abbraccio da un amico e collega del Sud 😉 A presto rivederci
Matteo Mauriello
attore, cantante
Napoli
TESTIMONIAL
Carmelo Roccaro
Agrigento
TESTIMONIAL
Simone Campa, un artista eclettico, musicista e compositore di altissimo profilo, ideatore e organizzatore di eventi, suonoterapeuta – e davvero molto altro ancora – che ho avuto il piacere di conoscere a Torino e di cui ho avuto modo di apprezzare il poliedrico talento in molteplici occasioni. Mi è rimasto nel cuore uno spettacolo teatrale visto nel febbraio 2022 al Teatro Franco Parenti di Milano, “La Vita Davanti a Sé” di Romain Gary con Silvio Orlando di cui Simone Campa ha curato le splendide musiche di scena – un mix di brani originali composti appositamente e di brani musicali di terzi sapientemente orchestrati -, colonna sonora portante dell’intero spettacolo, suonate dal vivo dallo stesso Simone Campa con la sua Orchestra Terra Madre. Musiche estremamente evocative, capaci di dare vita all’ambiente multietnico della Belleville parigina in cui si dipana, interpretata con grande sensibilità da Silvio Orlando, la storia di Momò e Madame Rosa. E se la storia in sé intenerisce e commuove, la musica abbatte la quarta parete, tracima, si espande, avvolge, coinvolge. Si percepisce in questo ennesimo lavoro di successo (oltre 300 repliche, più di 100.000 spettatori) tutto lo spessore artistico e culturale di Simone Campa.
Anna Nicoli
attrice
TESTIMONIAL
TESTIMONIAL
Simone Campa, con la sua capacita di unire i musicisti dell’Orchestra Terra Madre dove ci sono le musiche composte da da diversi artisti che provengono da diversi parti del mondo, che oltre alla musica e anche un incontro umano pieno di racconti. Si è esibito anche qui al teatro delle Vigne a Lodi con Silvio Orlando bellissimo spettacolo e colonne sonore nel 2022. Sempre in ricerca di questi incontri e di questi racconti oltre ad avere una sua ricchezza dalla sua provenienza, dalla sua cultura e radici.
Ashti Abdo
musicista
TESTIMONIAL
Sono stato al Teatro Mercadante di Altamura a marzo del 2022 per assistere allo spettacolo La Vita Davanti a Sè di Romain Gary con Silvio Orlando. Storia avvincente, scenografia ben studiata e grande recitazione da parte dell’attore napoletano. A mio avviso un grande ruolo, ai fini del risultato finale, è stato ricoperto da musica e musicisti che con i loro interventi hanno contribuito a supportare al meglio la narrazione. Simone Campa con la sua Orchestra Terra Madre hanno eseguito brani dal carattere variegato grazie agli strumenti utilizzati, alcuni dei quali appartenenti alle culture tradizionali del Mediterraneo. Assisterei volentieri a una replica, quindi nel caso in cui aveste l’occasione consiglio vivamente di non perdere l’opportunità di apprezzare la recitazione di Orlando e le musiche composte da Simone Campa.
Mauro Venezia
musicista
Matera
LA COLONNA SONORA DELLO SPETTACOLO “LA VITA DAVANTI A SÈ”
è curata e diretta da Simone Campa e suonata dal vivo dall’ ORCHESTRA TERRA MADRE di Slow Food.
Simone Campa, musicista polistrumentista, ricercatore e direttore artistico dell’Orchestra Terra Madre: “Ho creato la colonna sonora con l’intenzione di narrare in musica luoghi, persone e identità culturali dei personaggi del romanzo di Gary. Come un illustratore, ho cercato di creare immagini sonore che trasportassero immediatamente lo spettatore nel mondo infantile ed immaginario di Momò, nelle istantanee “da cartolina” di Parigi, nella fisicità della stretta convivenza multietnica di lingue e tradizioni così diverse a Belleville, quartiere multietnico in cui la storia é ambientata. Ed ancora trasportare il pubblico nelle fumose atmosfere dei bordelli, nell’eleganza di un nostalgico tour sugli Champs-Élysées, nel mondo di vecchie e polverose sale di doppiaggio cinematografico in cui gli effetti sonori delle prime pellicole venivano realizzati dal vivo con strumenti musicali ed oggetti inconsueti, purché efficaci.
Due sono i leitmotiv che ho scelto per lo spettacolo, entrambe francesi.
Il primo é “Padam Padam” *, un classico reso noto dalla graffiante voce di Edith Piaf e pubblicato nel 1951, il cui testo richiama, con metafore musicali, un dolore che dal passato ritorna e tormenta incessantemente. È il brano che apre lo spettacolo in forma di carillon come una struggente ninna nanna, che culla amorevolmente il piccolo protagonista ma al contempo esprime la sua malinconia
nei confronti della figura materna mancante. Lo stesso brano appare poi come sottofondo di un fantastico circo meccanico che incanta Momò da una vetrina dei quartieri chic di Parigi, dove si reca per fare il buffone sui marciapiedi, ed ancora come sensuale e appassionato valzer su cui Momó (Silvio Orlando) improvvisa una ballo romantico con il suo ombrello e amico immaginario Arthur. Il secondo é “Comment te dire adieu” ** di Francoise Hardy, hit della classifica francese del 1968, scelto sia per fotografare quella Francia degli stessi anni di uscita del romanzo, sia per i versi che ricalcano l’addio che Momò si vede costretto a dare alla sua madre adottiva, Madame Rosa, morente. Ed é proprio la presenza della fisarmonica, dal vivo, che vuole richiamare la sonorità dei ballabili valse francesi.
Ho caratterizzato inoltre la colonna sonora con espliciti richiami musicali alle tradizioni religiose a cui appartengono i personaggi del romanzo, indagandone le matrici culturali di origine: brani della tradizione klezmer, ovvero degli ebrei aschenaziti dell’Est Europa – area da cui lo stesso scrittore Romain Gary/Emile Ajar proveniva, così come il personaggio di Madame Rosa – elaborati con una fusion sonora di ritmiche africane portate dallo djembé e dalle percussioni della musica araba e magrebina, come la darbuka egiziana. Ed ancora l’esorcismo musicale tra tarantismo e voodoo a cui viene sottoposta, suo malgrado, Madame Rosa, per tentare di guarirla scacciando gli spiriti maligni in possesso del suo corpo malato, richiama le tradizioni rituali dell’Africa Nera, realizzato con sole voci e tamburi, Sono oltre 20 gli strumenti musicali e sonori utilizzati dai quattro musicisti in scena, e l’effetto finale è una ricca e complessa varietà di suoni, effetti ed atmosfere, un viaggio sonoro tra didascalie musicali, effetti sonori e descrizioni emotive delle scene.
I quattro musicisti in scena sono componenti dell’Orchestra Terra Madre di Slow Food, progetto nato in seno a Terra Madre Salone del Gusto, evento tanto internazionale quanto torinese a cui l’Orchestra prende regolarmente parte in occasione delle cerimonie ufficiali e di molti altri eventi svolti durante tutto l’anno in occasione di festival ed incontri internazionali. L’Orchestra ripercorre in musica i valori fondanti di Terra Madre, nasce per farne testimonianza viva ed attiva con la propria attività artistica e di integrazione culturale, divulgarli attraverso gli spettacoli e per celebrare l’incontro ed il dialogo di tradizioni di ogni parte del mondo. Conta oggi oltre 60 musicisti professionisti e suonatori portatori di antiche tradizioni orali da tutto il mondo, come una comunità artistica mondiale.
I musicisti sono Gianni Denitto, jazzista torinese; Kaw Sissoko, cantante senegalese e suonatore di kora, nato e cresciuto in una famiglia di griot e suonatori di tradizione; Maurizio Pala fisarmonicista, ed io come percussionista e polistrumentista (glockenspiel, chitarra battente,