LEONCE E LENA
Leonce und Lena – Ein Lustspiel
Una commedia in tre atti di Georg Büchner (1836)
Regia e traduzione Cesare Lievi
Fondazione Teatro Piemonte Europa
Produzione 2017
Si ringrazia la Fondazione TPE
per la gentile concessione delle foto e dei testi
Fondazione Teatro Piemonte Europa
Produzione 2017
per la gentile concessione delle foto e dei testi
Una commedia. Uno staterello ancora in stile rococò. Uno dei tanti in cui la Germania del primo Ottocento è divisa. Un re che s’interroga sulla sostanza del sé e del proprio compito (regnare), senza venire a capo di nulla. Un primo ministro ignorante e impreciso. Un maestro che non insegna, ascolta sbadato e s’inchina. Una donna che non riesce ad essere amata: i suoi baci si trasformano in sbadigli sulla bocca dell’amato. Un popolo agghindato a festa che non riesce a nascondere la propria miseria. E il figlio del re: Leonce. E un suo servitore: Valerio. La ragione di stato, cui tutti devono sottomettersi, vuole che Leonce sposi la principessa Lena del Regno di Pipi. Leonce non vuole. La sua visione del mondo non glielo permette. E allora fugge. Nella fuga s’innamora di una ragazza e decide di tornare a corte con lei e di sposarla. Al momento delle nozze si scopre che la ragazza è Lena, fuggita per non sottostare anch’essa alla ragione di stato. Lieto fine. Ma è veramente così? Davvero l’amore trionfa? O non è il contrario? Il mondo banale, noioso e insensato da cui tentavano di scappare li risucchia e fagocita. Dai suoi confini nessuno riesce a uscire.
Nessuno ne ha la forza. Adeguarsi è la soluzione. O sognare. Ma cosa? Semplice, dice Valerio alla fine, “che Dio ci conceda maccheroni, meloni e fichi, e ugole musicali, corpi classici e una comoda religione!”.
È una favola sull’amore, un testo romantico che unisce l’ironia ad una sarcastica riflessione sul mondo, il Leonce e Lena di Georg Büchner tradotto e diretto da Cesare Lievi, che racconta di disuguaglianze sociali, disillusione e dell’utilità del vivere, temi centrali in questa favola onirica e visionaria.
con Gianluigi Pizzetti, Lorenzo Gleijeses, Maria Alberta Navello, Paolo Garghentino, Marcella Favilla, Andrea Romero, Matteo Romoli, Riccardo De Leo, Vincenzo Paterna
musiche dal vivo eseguite da
Simone Campa – percussioni etniche ed effetti sonori // davul turco, grancassa, rullante, glockenspiel, tammorre e tamburelli italiani, chitarra battente, triangolo, daf persiano
Mimmo Mirabelli – fisarmonica
scene e costumi Marina Luxardo
musiche Germano Mazzocchetti
luci Cesare Agoni
assistente alla regia Cristiano Azzolin
assistente costumista Monica Di Pasqua
direttore di scena Vincenzo Caruso
attrezzista Alessia Stivala
La Stampa 14/01/2017
di Osvaldo Guerrieri
di Osvaldo Guerrieri
Leonce e Lena, quasi un compendio di storia del teatro
Al Teatro Astra di Torino la favola di Georg Büchner in scena per la Fondazione Teatro Piemonte Europa con la regia di Cesare Lievi
Leonce e Lena, quasi un compendio di storia del teatro
Al Teatro Astra di Torino la favola di Georg Büchner in scena per la Fondazione Teatro Piemonte Europa con la regia di Cesare Lievi
“Leonce e Lena” è una favola. Georg Büchner la compose nel 1836, pochi mesi prima di morire a soli ventitré anni dopo avere scritto i pezzi forti del suo teatro. Dire “favola” è però dire poco, è sminuire la complessità di un testo che pesca nel passato e annuncia un futuro che riesce ad agganciare prodigiosamente le avanguardie del Novecento. Questa impressionante identità multipla naturalmente non sfugge a Cesare Lievi, che traducendo “Leonce e Lena” e mettendolo in scena per la Fondazione Teatro Piemonte Europa, consegna allo spettatore quasi un compendio di storia del teatro: dalla Commedia dell’Arte al Decadentismo, al Futurismo.
Come in ogni favola c’è qui un principe, Leonce, al quale viene imposta una moglie che Sua Altezza non ha mai visto; e c’è una principessa, Lena, che in nome dello Stato è obbligata a sposare un erede al trono a lei sconosciuto ma che noi sappiamo essere Leonce. Né il ragazzo né la ragazza accettano il diktat. Entrambi fuggono in terre lontane e lì casualmente si incontrano, si amano senza sapere nulla l’uno dell’altra. Quando tornano a casa, in un regno angosciato per l’introvabilità dei promessi sposi, finalmente si riconoscono e convolano felici.
Sarebbe tutto un po’ povero se Büchner non iniettasse nel raccontino dosi massicce di umorismo e di malinconia, Romanticismo spinto fino alle soglie del Simbolismo, marionettismo, analisi delle condizioni umane e sociali. Fa dire per esempio a Leonce: “Cosa non fa la gente dalla noia! Studiano dalla noia, pregano dalla noia, si fidanzano, si sposano, si moltiplicano dalla noia, e infine dalla noia muoiono. E il ridicolo è che fanno tutto con le facce più serie di questo mondo, senza chiedersi il perché. Tutti questi eroi, questi geni e questi sciocchi, santi e peccatori, questi padri di famiglia in fondo non sono altro che raffinati fannulloni”. E verso la fine, quando il regno fibrilla aspettando il corteo degli sposi, il Maestro ammonisce i popolani schierati: “Siate riconoscenti di quanto si fa per voi, infatti vi si è disposti in modo che il vento spiri su di voi dalla cucina e, almeno una volta nella vita, anche voi possiate sentire l’odore dell’arrosto”.
L’annoiato cronico Leonce, il principe voglioso di nichilismo, sembra in tutto figlio della sua epoca. Ma Büchner gli mette alle costole un servo, Valerio, che è un autentico doppio di Arlecchino. E quando il fuggiasco si imbatte nella Sconosciuta, Büchner crea un clima notturno che ha le ammalianti ambiguità di Shakespeare, cui Büchner aggiunge le tensioni squisitamente romantiche di vita e morte.
Tutta questa serie di motivi ha indotto Lievi a servire allo spettatore una “satura farcita”, un piatto composito nel quale è contenuto ogni tipo di alimento. Con le scene spiritosissime e funzionali di Marina Luxardo, autrice anche dei costumi non meno scintillanti e addirittura debitori delle creazioni futuriste di Depero, Lievi ha confezionato uno spettacolo lustro e svelto che fila liscio come un olio. Ai suoi ordini ha una ben consolidata compagnia d’attori che dimostra di seguire magnificamente il disegno della regia. A cominciare da Lorenzo Gleijeses, che conquista la serata. Con ammirevole leggerezza, Gleijeses restituisce tutte le facce e le ombreggiature morali, umorali e sentimentali di Leonce, è malinconico, è sarcastico, è distruttivo, è atletico, è affilato come una falce di luna. Al suo fianco si colloca il beffardo, famelico e vitalistico Valerio del bravo Paolo Garghentino.
Simmetricamente troviamo la Lena di Maria Alberta Navello, tutta bronci, ribellioni e passionalità, con la governante di Marcella Favilla estratta, sembrerebbe, da una farsaccia d’altri tempi. Si segnalano poi il Re di Gianluigi Pizzetti e il suo Presidente del Consiglio Andrea Romero irresistibili in un loro tic: le devastanti amnesie li costringono a non completare mai un pensiero. La “satura” appare infine condita dalle musiche un po’ circensi e un po’ baracconesche dell’infaticabile Germano Mazzocchetti, che qui vengono eseguite dai due clown Mimmo Mirabelli alla fisarmonica e Simone Campa alle percussioni. Fragorosi per tutti gli applausi finali e molte le chiamate.